Intervista ai Sud Sound System

“Simu salentini te lu munnu cittadini, radicati alli Messapi cu li Greci e Bizantini…” E’ stata questa la molla che ci ha spinto ad intervistare il gruppo dei Sud Sound System, che rappresenta ormai il Salento in tutto il mondo… Quando è nato il vostro gruppo? Raccontateci la vostra storia.

È nato dalla passione musicale di un gruppo di amici. Eravamo ragazzi e dalla passione si è partiti per gioco. Abbiamo cominciato a fare musica nel modo più semplice e spontaneo, con dei piatti musicali e un mixer, trovando i brani strumentali sui 45 giri della musica giamaicana. Poi abbiamo cominciato a scrivere i pezzi e dal gioco si è passati a lavorare seriamente, fino ad incidere gli album. Ci siamo resi conto che quello che facevamo piaceva a tanta gente. Il nostro gruppo è nato quindi in maniera semplice e naturale, ma oggi è più difficile la strada per affermarsi nella musica.

Quanti album avete inciso?

Siamo al settimo album, più diverse compilation.

Siete sempre gli stessi componenti rispetto all’inizio?

Nella formazione principale siamo sempre gli stessi cinque: Don Rico, Terron Fabio, Nandu Popu, Dj War , Militer Free…. Il gruppo a volte si è allargato, ma ora siamo noi cinque.

C’è un album o una canzone cui siete particolarmente legati?

Siamo legati a tanti brani, ma soprattutto al prossimo che faremo.

Come avete conosciuto la musica reggae e cosa vi ha spinto a scegliere questo genere musicale?

Eravamo ragazzi che ascoltavano musica a 360 gradi, appassionati. Quando è arrivato il reggae l’approccio è stato diverso, però una volta che ci ha preso - perché possiamo senza dubbio dire che è il reggae che ha preso noi, non viceversa - questa musica ci ha totalmente travolti, è stata una scelta naturale. Amiamo la musica reggae e lei ci dà tanto.

Il fatto di cantare in dialetto leccese, all’inizio, ha pregiudicato in qualche modo la crescita del gruppo a livello nazionale?

Non lo sappiamo. All’inizio il pezzo che ci ha lanciati in tutta Italia era “Fuecu”, cantato in dialetto. Non penso che ci abbia penalizzati, perché la musica non ha limiti di linguaggio. Noi ci siamo appassionati di musica reggae, anche se non capivamo mezza parola di quello che dicevano, ma il trasporto della musica è forte e la musica, ripetiamo, è un linguaggio. Anche se il messaggio intrinseco del testo, naturalmente, dà più valore al brano. Il messaggio della musica dei S.S.S. è legato alle origini del reggae. Bob Marley, per esempio, lancia messaggi semplici ma forti, i messaggi più naturali che l’uomo possa ricevere: quelli dell’amore, del rispetto, della voglia di vivere …. Il problema della lingua non sussiste, se fai una musica universale. Naturalmente ci vuole la conoscenza del tuo linguaggio per trovare sempre la chiave di lettura, ma il nostro dialetto è molto onomatopeico, ha una sonorità molto bella sul ritmo, si spezza, si allunga e si accorcia molto facilmente. Anche l’italiano è una lingua musicale. Ad esempio, abbiamo ascoltato dei pezzi reggae in tedesco e all’inizio non credevamo che potessero andare bene, invece hanno trovato delle metriche bellissime. Ogni linguaggio, insomma, ha la sua capacità di adattarsi a un ritmo e questo dipende dall’estro artistico di chi lo interpreta. Bisogna avere un estro artistico che ti dà la chiave di lettura per adeguare ogni lingua a un ritmo, per renderlo un linguaggio universale e gradevole per tutti, anche se non si comprendono le parole.

Cosa provate quando fate i concerti nelle città del Nord e trovate tanta gente ad accogliervi?

E’ bello trovare tanta gente di quelle zone che viene e canta le tue canzoni, anche se a volte non capiscono quello che diciamo. Vi racconto un aneddoto del pezzo di Terron Fabio: “Quannu tie passi me uardi, nu sorrisu me faci, poi ce sacciu te giri e te n’abbai ….”…. Una ragazza di Pordenone capiva “ Cessacciu” come un’offesa, come a dire sei un cesso… e gli ha chiesto perché offendi la ragazza chiamandola “cessacciu” . Poi Terron gli ha spiegato che in dialetto “ce ssacciu” significa “non so perché”. All’inizio la gente salentina che vive al Nord faceva conoscere i nostri brani perché parliamo spesso del sole, del mare, e siccome a loro queste cose mancano ascoltavano i nostri brani. Adesso però anche quella gente ci segue; lo stesso è avvenuto qui da noi per il reggae moffi, il reggae figlio di Bob Marley che è giunto a Londra quando molti giamaicani sono andati a vivere lì, portando il reggae, la dance hall e questa musica. Negli anni ‘80 queste persone hanno creato il ponte tra la Giamaica e l’Europa, che ha permesso che il reggae arrivasse anche da noi. All’inizio sembrava una musica strana, ma poi il ritmo che prende, il movimento, la vibrazione hanno coinvolto tutti. All’inizio noi non sapevamo che il reggae avrebbe avuto tanto successo nel mondo, però avevamo capito che quando questa musica ti prende non ti lascia più. È una musica travolgente che oggi è ascoltata a livello mondiale.

Cosa ha significato per voi collaborare con i più famosi cantanti italiani per la canzone dedicata alle vittime del terremoto in Abruzzo?

E’ stata un’esperienza importante perché sono stati raccolti fondi ingenti che serviranno per la ricostruzione del teatro dell’Aquila. Per noi a livello musicale è stata un’esperienza meravigliosa, lì abbiamo conosciuto tanti artisti. Poi tutte le collaborazioni portano ad un accrescimento personale ed artistico, perché ogni artista ha un suo modo di interpretare la musica. È sempre una bella esperienza trovarsi in studio e vedere come lavora un altro artista. Vedere il dietro le quinte di un altro artista è bello, vedere la sua creatività all’opera. Impari sempre qualcosa dal confronto e dalla collaborazione con altri artisti.

Nei vostri brani toccate tematiche importanti: avete la consapevolezza che tanti giovani vi ascoltano e vi prendono come modello? Qual è il messaggio che volete lanciare?

I messaggi dei S.S.S. sono quelli di persone normali che cantano ciò che è giusto, ciò che serve ai giovani. Molti giovani s’identificano in quello che diciamo proprio perché cantiamo quelle verità che a volte nessuno dice, le cose che bisognerebbe dire ai giovani. Invece la società è molto fredda, distaccata, insegna tutto l’opposto di quello che noi cantiamo. Noi con la musica lottiamo per le cose giuste, per le cose semplici, per i diritti umani. Oggi, nonostante si dica di vivere in una società civile, ci sono in realtà molte ingiustizie, e la gente comune lotta per sopravvivere in questa società costruita dal denaro e per il denaro.

Dalle vostre canzoni emerge un grande amore per il Salento. Siete fieri di rappresentare questa terra a livello nazionale?

Si, ne siamo molto fieri. La gente ci porta come bandiera del Salento e questo ci fa molto onore. È bello vedere che tutto quello in cui abbiamo creduto in questi anni lo canta tanta gente insieme a noi, credendo negli stessi nostri ideali. Il Salento sta vivendo un momento di risveglio dell’orgoglio di questa terra. Stiamo lottando per avere un Salento pulito, perché negli ultimi venti anni hanno fatto uno scempio con la centrale di Cerano, l’Ilva di Taranto. Ma ora stiamo lottando per avere un Salento pulito: oggi la coscienza da parte della gente di lottare per riappropriarsi della propria terra è una cosa molto importante.

Quest’estate avete partecipato al concerto della “Notte della Taranta”, come è stata quest’esperienza?

“La Notte della Taranta” è sempre molto bella, perché “nu te scierri mai te le radici ca tieni”, quando canti con le tarantelle c’è sempre quello spirito nostro, lo stesso del reggae mediterraneo che facciamo. Anche nel nostro primo disco abbiamo fatto esperimenti con i tamburelli (come afro-taranta jazz), e nell’ultimo album c’è il pezzo “Ene cussì”, uno scioglilingua che si adattava benissimo ai ritmi della tarantella. Cantare con tutti gli strumentisti che suonano dietro è bellissimo, ti dà la carica. Poi c’è stato il pezzo che abbiamo improvvisato: è piaciuto tantissimo ai produttori, e l’anno prossimo lo riproponiamo.

Che tipo di pubblico vi segue?

Il reggae piace a tutti, dai bambini alle persone grandi. …Tutti hanno bisogno d’amore, perché nessuno può fare a meno d’amare, anche tu se lo vuoi… basta che apri il tuo cuore...

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